mercoledì 15 giugno 2011

LA COMPAGNIA DEI CELESTINI - Stefano Benni

[...]
Il barista, un omaccio tutto tatuato con varie sponsorizzazioni femminili, lo guardò schifato:
"Fila via, pezzente. Mi disturbi la clientela".
"Ma come, amigo" disse Camarinho "dovresti onorato di averci qui. Il tuo è il bar più malfamato della città, e noi siamo la banda minorile più malfamosa di tutta l'America, i Pelorinho Pivetes di Bahia. Per venire qui abbiamo eliminato gli Hermanos Oiga di Bogotà, i Blasters di Miami e la Banda Baldaracci di San Paolo."
"Ti sbagli, pezzente," ringhiò il barista "è vero che questo è il posto più malfamato di tutta la città, ma questa fascinosa cattiva fama ce l'ha grazie a persone ricche e importanti. Banchieri riciclatori, grandi palazzinari, politici camorristi, principi mercanti d'armi, spacciatori di droga miliardari..."
"Mae de Deus!" disse la canottiera che si chiamava Nestor detto Isadora. "Sono forse quelle facce da tagliagola sedute qui vicino?"
"No, questi sono attori che pago per dare un po' di atmosfera al locale. Stuntmen che inscenano false risse, mimi finti ubriachi. Quel barbone che rutta fragorosamente in faccia a tutti è un ex-baritono, la vecchia puttana è una delle più famose attrici degli anni cinquanta, e l'uomo con le dodici cicatrici non era un legionario, era un saldatore. Ma ai tavoli in fondo, come vedi, c'è una clientela elegante e distinta, e il menù è di prima qualità."
"Vedo," disse Isadora, con un fischio di ammirazione. "Ostriche alla Cupola, Mousse di branzino all'Olonese, Filetto incaprettato, Truffa mista di calamaretti e gamberi, Fragoline di sottobosco, centomila alla porzione..."
"Servizio escluso, capito? Perciò qui pezzenti veri non ne vogliamo. Sgombera, nanetto travestito, o avverto il tavolo dei finti scaricatori portuali." Isadora guardò il tavolo suddetto, dove briscolavano quattro orchi con fiamme tatuate sulle braccia.
"Che bei ragazzi!" disse Isadora "non vedo l'ora di conoscerli."
Il barista fece un cenno e il più grosso dei quattro si alzò, sovrastò i due bambini e disse:
"Sono il maresciallo Bacci della locale Tenenza carabinieri e contestualemente appuro che state infastidendo il conte Riffler Biscaglia. Non so di che razza siete, negri, meticci, froci, zingari o transessuali, ma il nostro carcere minorile ha diversi posti liberi..."
Oh scusate, amigo," disse Camarinho "non sapevamo di avere a che fare con un conte. Ma possiamo spiegare tutto: è vero, siamo una banda di teppistelli di Bahia, ma siamo venuti nel vostro paese perché ci hanno invitato ad una trasmissione televisiva che ci chiama Gorgon, tutto quello che non vorreste mai vedere."
Il conte e il poliziotto si guardarono interdetti.
"Dite sul serio? Quella degli orrori del mercoledì sera?"
"Certo," disse Camarinho "ci hanno invitato per mostrare in diretta come sniffiamo benzina e per farci raccontare di quando abbiamo fatto a revolverate con la Banda Baldaracci, e dopo ci sarà una festa di beneficenza in nostro onore e si ballerà la lambada e tutti si commuoveranno nel vedere i nostri miseri vestiti."
"Si amigo," disse Isadora "non siete solo voi a travestirvi. Io, ad esempio, abitualmente vesto Balenciaga. Ma lo show è show..."
"State bluffando" disse il poliziorco.
"Fate come volete," disse Camarinho "ma se stasera non saremo negli studi di Gorgon scoppierà un bel casino. Ci sarà anche il ministro dell'immigrazione."
"Lasciamoli andare," disse il conte "meglio non correre rischi."
"Grazie amigo," disse Camarinho "volete che faccia qualcosa per riscaldare l'ambiente?" Con un gesto rapido, estrasse un machete dalle mutande e lo calò sul braccio del conte, tagliando con una precisione millimetrica una sottiletta di pelle col tatuaggio di un drago.
"Questo piace a me," disse Camarinho, e se lo attaccò al braccio.
Un mormorio eccitato percorse i clienti.
"Ehi ragazzo," disse il conte "che ne diresti di lavorare qui?"
"Oh no amigo," disse Camarinho "a noi piace la libertà. Sapete, noi non abbiamo il telecomando per spegnere Gorgon. A noi ci toccano emozioni forti ventiquattro ore su ventiquattro. Buena suerte, bobos!"
E sparì in un lampo bianco di mutande.
Nelle strade del malfamato quartiere risuonarono le parole di Strade miserabili dei Mamma Mettimi Giù. [...]

da "La compagnia dei Celestini", di Stefano Benni, Ed. Universale Economica Feltrinelli, 2009, pp. 117-118.

HAROLD E MAUDE - Colin Higgins

[...]
Harold uscì dal banco e la vecchia lo seguì.
"Che ne pensa di quel vecchio grassone di Tom?" gli chiese.
"Chi?" fece Harold.
"San Tommaso d'Aquino, laggiù. Ho visto che lo guardava."
"Penso che sia... ehm... un grande pensatore."
"Oh, si. Ma un po' fuori moda, non le pare? Come il cigno arrosto. Oh, santi numi! La guardi."
Si fermarono davanti al mesto ritratto della Madonna.
"Me lo presta?" disse, prendendo il pennarello dal taschino della giacca di Harold. Con pochi abili tocchi disegnò un allegro sorriso sulla bocca della Vergine.
Harold si guardò in giro per vedere se qualcuno li osservava.
"Ecco fatto. Così va meglio," disse la vecchia. "Non danno mai alla poverina la possibilità di ridere. E pensare che ne ha di motivi per essere felice. A dir la verità, " aggiunse, guardando varie statue in fondo alla chiesa, "tutti loro hanno di che essere felici. Mi scusi."
Harold fece un gesto poco convinto per riavere il pennarello, ma senza risultato. La vecchia era già in fondo alla chiesa a disegnare sorrisi su san Giuseppe, sant'Antonio e santa Teresa.
"Un santo infelice è una contraddizione in termini," spiegò.
"Ehm, già," fece Harold nervosamente.
"E perché poi insistono con quello?"
Harold sollevò lo sguardo verso un crocifisso.
"Si direbbe," disse lei varcando la soglia, "che nessuno abbia mai letto la fine della storia."
Harold la seguì in strada.
"Ehm, adesso potrei riavere il mio pennarello, per favore?" chiese.
"Oh, ma certo," rispose lei, dandoglielo. "Come si chiama?"
"Harold Chasen."
"Molto lieta." Gli sorrise. "Io sono la contessa Mathilda Chardin, ma può chiamarmi Maude."
Quando sorrideva, le rughe intorno agli occhi li facevano sembrare ancora più azzurri e lucenti.
Harold le porse educatamente la mano. "Lieto d'averla conosciuta," disse.
Lei gli strinse la mano. "Credo che saremo grandi amici, non è vero?" Estrasse dalla borsetta un grosso mazzo di chiavi e aprì la portiera dell'auto posteggiata accanto al marciapiede.
"Posso accompagnarti, Harold?" gli chiese.
"No," rispose Harold in fretta. "Grazie. Ho la mia auto."
"Bene allora, io devo andarmene. Arrivederci."
In chiesa padre Finnegan guardava esterrefatto le statue sorridenti.
Maude fece rombare il motore e tolse il freno a mano.
"Harold," gli gridò, "sai ballare?"
"Che cosa?"
"Sai cantare e ballare?"
"Ehm, no."
"No." Sorrise con aria triste. "Me l'immaginavo." Premette l'acceleratore. Con un terribile stridore di gomma che bruciava, l'auto si staccò fulmineamente dal marciapiede, sfrecciò giù per la strada e, ormai lontana, svoltò a velocità pazzesca dietro un angolo. Si riusciva ancora a sentire, in lontananza, il rumore dei cambi.
Harold restò con lo sguardo fisso in quella direzione, ancora sbalordito.
Anche padre Finnegan, uscito dalla soglia della chiesa, l'aveva vista partire. "Quella donna," disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, "ha preso la mia macchina." [...]

da "Harold e Maude", di Colin Higgins, Ed. i Garzanti, 1973, pp. 24-26.

CRISTO SI E' FERMATO A EBOLI - Carlo Levi

[...]
- Don Luigi ci bada molto a queste cose. Lui è per la disciplina. Le pensano insieme, lui e il brigadiere. Con lei spero sarà diverso. Ma ad ogni modo non se la prenda, dottore! - Don Cosimino mi guardava di sotto in su, consolatore. - Hanno la mania di fare i poliziotti, e vogliono saper tutto. Il muratore ha avuto anche delle noie. Parlava con dei contadini, e cercava di spiegare le teorie di Darwin, che l'uomo deriva dalla Scimmia.
Io già non sono darwinista, e don Cosimino sorrideva arguto, - ma non ci vedo nulla di male, se qualcuno ci crede. Don Luigi lo è venuto a sapere, naturalmente. E ha fatto una scenata terribile. L'avesse sentito gridare! Ha detto al muratore che le teorie di Darwin sono contro la religione cattolica, che il cattolicismo e il fascismo sono una cosa sola, e che perciò parlare di Darwin è fare dell'antifascismo. E ha scritto anche a Matera, alla questura, che il muratore faceva propaganda sovversiva. Ma i contadini gli vogliono bene. E' gentile e sa far di tutto -. Eravamo arrivati a casa sua. - Stia di buon umore, - mi disse. - Lei è appena arrivato, e si deve abituare.
Ma tutto questo passerà.
Quasi timoroso di aver detto troppo, questo angelo gobbo mi salutò bruscamente e mi lasciò. [...]

da "Cristo si è fermato a Eboli", di Carlo Levi, Ed. Einaudi Tascabili, 1999, pp. 45-46.