Harold uscì dal banco e la vecchia lo seguì.
"Che ne pensa di quel vecchio grassone di Tom?" gli chiese.
"Chi?" fece Harold.
"San Tommaso d'Aquino, laggiù. Ho visto che lo guardava."
"Penso che sia... ehm... un grande pensatore."
"Oh, si. Ma un po' fuori moda, non le pare? Come il cigno arrosto. Oh, santi numi! La guardi."
Si fermarono davanti al mesto ritratto della Madonna.
"Me lo presta?" disse, prendendo il pennarello dal taschino della giacca di Harold. Con pochi abili tocchi disegnò un allegro sorriso sulla bocca della Vergine.
Harold si guardò in giro per vedere se qualcuno li osservava.
"Ecco fatto. Così va meglio," disse la vecchia. "Non danno mai alla poverina la possibilità di ridere. E pensare che ne ha di motivi per essere felice. A dir la verità, " aggiunse, guardando varie statue in fondo alla chiesa, "tutti loro hanno di che essere felici. Mi scusi."
Harold fece un gesto poco convinto per riavere il pennarello, ma senza risultato. La vecchia era già in fondo alla chiesa a disegnare sorrisi su san Giuseppe, sant'Antonio e santa Teresa.
"Un santo infelice è una contraddizione in termini," spiegò.
"Ehm, già," fece Harold nervosamente.
"E perché poi insistono con quello?"
Harold sollevò lo sguardo verso un crocifisso.
"Si direbbe," disse lei varcando la soglia, "che nessuno abbia mai letto la fine della storia."
Harold la seguì in strada.
"Ehm, adesso potrei riavere il mio pennarello, per favore?" chiese.
"Oh, ma certo," rispose lei, dandoglielo. "Come si chiama?"
"Harold Chasen."
"Molto lieta." Gli sorrise. "Io sono la contessa Mathilda Chardin, ma può chiamarmi Maude."
Quando sorrideva, le rughe intorno agli occhi li facevano sembrare ancora più azzurri e lucenti.
Harold le porse educatamente la mano. "Lieto d'averla conosciuta," disse.
Lei gli strinse la mano. "Credo che saremo grandi amici, non è vero?" Estrasse dalla borsetta un grosso mazzo di chiavi e aprì la portiera dell'auto posteggiata accanto al marciapiede.
"Posso accompagnarti, Harold?" gli chiese.
"No," rispose Harold in fretta. "Grazie. Ho la mia auto."
"Bene allora, io devo andarmene. Arrivederci."
In chiesa padre Finnegan guardava esterrefatto le statue sorridenti.
Maude fece rombare il motore e tolse il freno a mano.
"Harold," gli gridò, "sai ballare?"
"Che cosa?"
"Sai cantare e ballare?"
"Ehm, no."
"No." Sorrise con aria triste. "Me l'immaginavo." Premette l'acceleratore. Con un terribile stridore di gomma che bruciava, l'auto si staccò fulmineamente dal marciapiede, sfrecciò giù per la strada e, ormai lontana, svoltò a velocità pazzesca dietro un angolo. Si riusciva ancora a sentire, in lontananza, il rumore dei cambi.
Harold restò con lo sguardo fisso in quella direzione, ancora sbalordito.
Anche padre Finnegan, uscito dalla soglia della chiesa, l'aveva vista partire. "Quella donna," disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, "ha preso la mia macchina." [...]
da "Harold e Maude", di Colin Higgins, Ed. i Garzanti, 1973, pp. 24-26.

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