"Che cosa sssarà, tesssoro mio?" sussurrò Gollum (che si rivolgeva sempre a se stesso, non avendo mai nessun altro con cui parlare). Proprio per scoprire questo era venuto, poiché al momento, in verità, non aveva molta fame, solo curiosità; altrimenti avrebbe prima ghermito e poi sussurrato.
"Sono il signor Bilbo Baggins. Ho perso i nani, ho perso lo stregone e non so dove sono; né m'importa di saperlo, se solo riesco ad uscire di qui".
"Che cosss'ha in mano?" disse Gollum, guardando la spada, che non gli piaceva affatto.
"Una spada, una lama che fu forgiata a Gondolin!".
"Ssss!" disse Gollum, e si fece educatissimo. "Forse dovremmo sederci qui e chiacchierare un pochettino, tesssoro mio. Gli indovinelli gli piacciono, forse gli piacciono, non è vero?". Era ansioso di mostrarsi amichevole, almeno per il momento e fin tanto che non ne sapesse di più sulla spada e sullo hobbit: se fosse veramente tutto solo, se fosse buono da mangiare, e se lui, Gollum, avesse veramente fame. Gli indovinelli erano la sola cosa che gli fosse venuta in mente. Porli, e talvolta risolverli, era stato l'unico gioco cui avesse mai giocato con altre buffe creature che sedevano nelle loro caverne in un passato lontano lontano, prima di perdere tutti i suoi amici e di essere scacciato via, solo, e di scendere furtivamente nelle tenebre, sotto le montagne.
"Benissimo" disse Bilbo, che era ansioso di mostrarsi d'accordo, fin tanto che non ne sapesse di più su quella creatura: se fosse tutto solo, se fosse aggressivo o affamato, e se fosse un amico degli orchi.
"Comincia tu" disse, perché non aveva avuto il tempo di pensare un indovinello. [...]
Da "Lo hobbit", di J.R.R. Tolkien, Ed. Gli Adelphi, 1994, pp. 92-93.

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