Certe volte mi sembra di vivere nel giorno della marmotta, come in quel film con Bill Murray dove tutto si ripete in eterno. Guardo l'orologio e poi chiudo gli occhi. Tra cinque minuti esatti entra quello che compra solo il blues, mezzora e chiama quello da Genova per gli usati italiani.
Non sbaglio mai. Ogni tanto, chiaramente, si pesca un jolly e qualcosa cambia, soprattutto all'apertura.
Una volta ho tirato su la serranda di fronte ad una piazza completamente deserta, una cosa da far resuscitare De Chirico. Nessuno.
Mi sono messo dietro al bancone per scegliere un cd e lui si è materializzato.
E' entrato in silenzio e mi ha sorriso. Ho ricambiato.
Quindi con naturalezza si è sdraiato per terra, la testa sotto la sezione reggae e i piedi diritti. La mani sui fianchi, non una parola.
L'ho guardato da dietro le scatole dei 45 giri e ho pensato ci siamo, questo è il punto di non ritorno.
Chiudo con lui dentro e vado a cercarmi un lavoro da magazziniere. Poi ho lasciato passare un paio di minuti , un'eternità per una situazione simile e gli ho chiesto: "Tutto bene?".
Lui ha aperto le mani come tergicristalli e ha fatto una smorfia di assenso. Tutto perfetto, quindi.
Scartando l'ipotesi di una candid camera per eccesso di banalità, ho immaginato che si trattasse di una pièce teatrale improvvisata, forse Jonesco. Il teatro dell'assurdo.
Comunque qualcosa andava fatto. "Senti un po', non è che ti posso lasciare buttato là sotto. Qualunque sia il tuo problema, per favore alzati". Si è voltato di pochissimo verso di me. "Amico, ti capisco, ma io voglio morire e soltanto da qui sento la musica del mio Paese, cerca di capirmi". Aveva un accento slavo e, in un momento di spontaneismo immaginativo, l'ho mentalmente battezzato Dimitri. "A parte che siamo in silenzio assoluto, ma qualsiasi cosa tu senta lì, non puoi nè morire tanto meno rimanere sdraiato. Se entra qualcuno e ti vede, cosa gli racconto?". Stavolta non si è mosso: "Io sento". Poi, come si fa con i bambini, gli ho piazzato un: "Devo venire lì?". Dimitri, immobile, con lo sguardo dritto sui neon barcollanti dal soffitto mi ha spiegato: "Vivere lontano dal Paese è come fermare il vento con le mani. Non so di più. E' ora che io muoia. Qui". "Molto poetico, ma alzati comunque. Non è che puoi andara a morire in Piazza?". L'ha presa come un'offesa e ha battuto i due palmi delle mani sugli scacchi (quasi) bianchi e neri del pavimento. "Tu non capisci. Io sento qui, qui sotto". Allora sono uscito fuori dal bancone e ho deciso di guardarlo, da uomo in piedi a uomo sdraiato. "Sentimi bene, qua sotto non c'è un bel cazzo di niente, a parte le bottiglie di Amaro Cora e di Petrus della signora che una volta aveva la piola all'angolo. Nient'altro. Quindi adesso mi fai il santo piacere di tirarti su e andare a morire in Piazza, che magari si sente qualcosa anche lì. Dai". Deludere un uomo non è bello, lo so, ma non potevo tenermi Dimitri come tappetino da preghiera o aspettare che tirasse davvero le cuoia sotto i vinili dei Congos. Cosa gli raccontavo alla Polizia, che mi era morto felice con il suono del Paese nelle orecchie? Più che una scusa mi sembrava un verso di Al Bano, così ho aperto la porta e gli ho fatto segno di andarsene. "Dai". Dimitri ha realizzato che non era più aria e lentamente ha imboccato la porta con un'espressione tipo da te non me lo sarei mai aspettato. Un minuto dopo era sdraiato sul muretto della Piazza, nell'indifferenza più totale. Gli hanno parcheggiato una Uno verde infezione con un adesivo di Bart Simpson che mostra il culo a un metro. Ma dalla vetrina lo vedevo ancora. Lui rimaneva immobile, un sarcofago incurante delle pallonate. Un paio di volte sono uscito e gli ho fatto un gesto con il mento, come a dire "e allora?". Dimitri mi ha fatto capire con la mimica che, niente, il suono del Paese lì davvero non lo sentiva. Lo credo, quello della Uno aveva il portellone aperto e Vasco a volume 11, secondo copione. Sono persino stato tentato di farlo rientrare e tenerlo lì, come una pelle di leone, magari faceva anche arredamento. Poi ho cercato qualcosa nel retro e quando mi sono ricordato di Dimitri lui non c'era più. Sparito. Il tempo di guardare che non l'avessero messo come guardialinee per la partitella della Piazza ed è entrato quello del blues. Mezzora dopo hanno chiamato da Genova: "Usati italiani?".
Da "L'ultimo disco dei Mohicani", di Maurizio Blatto, Ed. Castelvecchi, 2010, pp. 126-128.

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