Io non concepisco come Kant, dando alla parola Vernunft il senso della parola latina ratio, ha potuto dire che è il più alto grado dell'attività di uno spirito che ha la potenza di tutta la sua libertà e la coscienza di tutte le sue forze: niente di più falso.
La ragione non esiste affatto nella libertà, ma al contrario nella necessità. Il suo movimento che è geometrico, è sempre costretto: è una conseguenza necessaria del punto di partenza e niente di più. Facciamo un profondo esame di tutto questo. La parola latina ratio, della quale Kant ha evidentemente seguito il senso, non ha mai tradotto esattamente la parola greca logos nel significato di verbo; e se i filosofi greci sostituivano talvolta la parola logos alla parola nous, ovvero il verbo alla intelligenza, prendendo l'effetto per la causa, a torto i romani tentarono di imitarli adoperando la parola ratio invece di mens e intelligentia. Provarono con questo la loro ignoranza e misero a nudo le funeste rovine che lo scetticismo aveva già prodotto fra loro.
La parola ratio si fonda sulla radice ra o rat che in tutte le lingue dove essa è comparsa vi ha portato l'idea di linea, di raggio, cioè di una linea retta tirata da un punto ad un altro. Così la ragione invece di essere libera, come ha preteso Kant, è tutto ciò che vi può essere di più ristretto, di più contenuto nella natura: è una linea geometrica, sempre soggetta al punto da cui emana e forzata a portarsi a colpire il punto verso quale è diretta, a meno di cessare di esser tale, cioè una linea retta. Ora, la ragione non essendo libera nel suo cammino, in sè stessa non è nè buona nè cattiva ma sempre analoga al principio del quale è la conseguenza. La sua natura di procedere è diritta: la sua perfezione non è altra cosa. Si va diritti in tutti i modi, in tutte le direzioni, in alto, in basso, a destra, a sinistra: si ragione giustamente tanto nella verità come nell'errore, nel vizio come nella virtù: tutto dipende dal principio da cui si parte e dal punto di vista da cui si guarda. La ragione non offre questo principio: essa non è padrona del segno che va a colpire, più della linea retta tirata sul terreno che non è padrona del punto che va a raggiungere. Questo punto, questo segno sono determinati a priori dalla posizione del ragionatore o del geometra. [...]
Da "I versi d'oro di Pitagora", di Fabre D'Olivet, Ed. Gius. Laterza & Figli, 1931, pp. 77-78. (copia anastatica)

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