Si svegliò che era già notte: la luna rischiarava la sua stanza. Guardò l'orologio: erano le tre meno un quarto. Il sonno gli era passato; sedette sul letto e pensò ai funerali della vecchia contessa.
In quel momento qualcuno dalla via gli gettò un'occhiata attraverso la finestra e subito si scostò. Hermann non vi fece alcun caso. Un minuto dopo sentì aprire la porta nell'anticamera. Hermann pensò che il suo attendente, ubriaco come al solito, stesse tornando da una passeggiatina notturna.
Ma sentì un passo sconosciuto: qualcuno camminava, strascicando leggermente le scarpe. La porta si aprì, entrò una donna vestita di bianco. Hermann la prese per la sua vecchia balia, e si stupì, domandandosi che cosa potesse averla condotta lì a quell'ora. Ma la donna bianca con un guizzo si ritrovò d'un tratto davanti a lui - ed Hermann riconobbe la contessa!
- Sono venuta da te contro la mia volontà, - disse questa con voce ferma, - ma mi è stato ordinato di esaudire la tua preghiera. Il tre, il sette e l'asso ti faranno vincere di seguito, ma a patto che tu non punti più di una carta al giorno e che poi non giochi più per tutta la vita. Ti perdono la mia morte, a patto che tu sposi la mia pupilla Lizaveta Ivanovna...
Detto questo, si voltò piano, andò verso la porta e scomparve, strascicando le scarpe. Hermann sentì sbattere la porta dell'ingresso, e vide che qualcuno guardava di nuovo nella stanza.
Hermann per un pezzo non poté riaversi. Andò nell'altra stanza. Il suo attendente dormiva per terra; Hermann faticò molto a svegliarlo. L'attendente come al solito era ubriaco: fu impossibile cavargli qualcosa di sensato. La porta d'ingresso era chiusa. Hermann ritornò nella sua stanza, accesa la candela e annotò la sua visione. [...]
Da "La donna di picche", di Aleksander Puškin, Ed. Marsilio Editori, 1998, pp. 97-99.

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