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Uscii dal cinema e vagai senza meta per Shibuya.
Erano cominciate le vacanze di primavera, e le strade erano invase da frotte di studenti. Andavano al cinema, poi fatalmente da Mc Donald's a mangiare fast food, a comprare ogni genere di oggetti inutili nei negozi raccomandati da riviste come "Popeye", "Hot Dog" e "Olive", e spendevano un po' di monete ai videogame. Davanti a ogni negozio c'erano altoparlanti che diffondevano musica. Stevie Wonder, Hall & Oates, le marcette dei locali di pachinko, gli inni militari sparati a tutto volume dalle auto che facevano propaganda ai gruppi di estrema destra, e altro ancora, contribuivano a produrre un unico caotico rumore di fondo. Per giunta davanti alla stazione di Shibuya c'era un comizio elettorale.
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- Da dove mi chiami? - chiesi.
- Sono ancora nell'appartamento di Akasaka. Non ti va di fare una passeggiata in macchina?
- Mi dispiace ma adesso non posso. Sto aspettando un importante telefonata di lavoro. Facciamo un'altra volta. Ah, a proposito di quello che mi hai detto ieri, hai visto davvero un uomo ricoperto da una pelle di pecora? Mi racconti meglio questa storia? È molto importante.
- Facciamo un'altra volta, - disse, e riagganciò di scatto.
Andiamo bene, sospirai, e restai per [...]
Da Dance, Dance, Dance, di Murakami, Einaudi Super ET, 2015, pp. 159, 161
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