sabato 29 gennaio 2011

IL COMMISSARIO - Sven Hassel

[...]
"Avanti, avanti", grida il Vecchio, dandomi una spinta.
Un razzo illuminante si accende sopra le nostre teste. I venticinque uomini della nostra sezione si trasformano in venticinque statue. Per vari minuti restiamo lì, privi di qualsiasi difesa, inerti in quella luce abbagliante e portatrice di morte. Poi ci avvolge di nuovo l'oscurità protettrice.
La notte sembra piena di sagome che corrono e che saltano. Ovunque regna la confusione. Stiamo tutti correndo di qua e di là nel buio, russi e tedeschi. Bombe a mano vengono scagliate nelle case. Soldati feriti e morenti urlano con voci stridule.

In mezzo alla strada, un T-34 compie un vertiginoso giro su sè stesso e poi esplode con un accecante bagliore.
Dal centro della città continuano a provenire esplosioni e il rumore della battaglia in corso.
"Speriamo che non facciano a pezzi la casa di Tania, a fuira di sparare", dice Porta, preoccupato.
"Forse è tutta colpa del commissario, che è venuto a prendere la sua donna", fa Gregor con una risata breve e triste.
"Tutto ha l'importanza di un peto in un colabrodo", sospira Porta. "Da quando sono nato mi rendo sempre più conto che l'unica cosa preziosa che uno possiede è la sua povera e preziosa vita."
Stanchi, ci sdraiamo a terra al riparo di una piccola altura.
"Anatre!" esclama Porta assumendo la posa di un cane da punta. Ha ragione. Si può distinguere il tranquillo qua-qua di uno stormo di anatre.
"Se riusciamo ad acciuffarne un paio, vi farò assaggiare l'anatra con il riso alla portoghese", promette, leccandosi le labbra all'idea. "Roba degna degli dèi! Prima di tutto si prende un po' di riso - quando avete preso le anatre, s'intende - e poi alcune cipolle che è facile trovare, e così pure dicasi delle carote. Infine ci vogliono qualche pomodoro, dell'olio, sale e pepe. Secondo la ricetta, il riso deve bollire nel grasso d'anatra cui si aggiunge lentamente dell'acqua in fasi di bollitura. Io, tuttavia, preferisco il vino all'acqua. Stendete bene il riso sul piatto e posate sopra la porzione di anatra. Quindi tritate bene insieme i pomodori con le cipolle e metteteli sopra il resto. L'aroma è gustoso, vi assicuro, come quello che si sentiva alla Vigilia di Natale prima della guerra." [...]

Gregor mi segue a ruota. E' così buio che riusciamo a vedere solo un paio di metri davanti a noi.
A un certo punto inciampo in qualcosa che si rivela una carriola capovolta. Impreco in silenzio. Un elmetto russo emerge dall'oscurità. Più rapido del pensiero, Gregor lancia le sue bolas: il micidiale laccio si arrotola intorno al collo del russo, dalla cui gola esce solo un rauco rantolo prima che finisca a terra.
"Che diavolo state combinando?" chiede Albert, preoccupato, appiattendosi a terra dalla paura.
"Gesù, Gesù!" esclama, quando scorge il russo morto.
"Tra poco mi verrà un collasso nervoso! Che il diavolo si porti il mio papà, che non ha saputo far di meglio che suonare i timpani per gli ussari prussiani! Avrebbe dovuto restarsene a casa nella sua capanna di paglia e non permettere che il suo figliolo migliore venisse coinvolto in questa terribile guerra scatenata dai tedeschi per vendetta."
"Cristo!" grida Gregor terrorizzato, quando una colossale fiammata rossa spezza l'oscurità e si eleva come una campanile di fuoco verso il cielo fino ad allargarsi in una nube a forma di fungo. Sembra un orribile miraggio, spuntato improvvisamente dal nulla.
Semiaccecati e assordati fissiamo la diabolica fiammata rossa. Questa cresce e cresce e diventa un brillante ombrello color rosso carminio di enormi proporzioni, intento a vomitare lingue di fuoco gialle e bianche simili a tante rose. Lentamente, il gigantesco fiore di fuoco si trasforma in milioni di fiammelle.
Tutto il firmamento e il campo di battaglia sono tinti di rosso.
Porta e due russi emergono correndo da quell'immensa vampa rossa, trasformata in un unico rombante e indescrivibile inferno.
"Scappa, maledizione!" esclama il Vecchio in tono disperato, tirandomi per la spalla.
Con la sensazione di stare assistendo a uno spettacolo irreale lo seguo. Le gambe si muovono automaticamente.
Un russo con un Kalashnikov appeso di traverso sul petto ci sorpassa. Uno spostamento d'aria rovente ci getta a terra.
Storditi, ci rialziamo e c'inoltriamo nell'acqua gelida del ruscello che comincia lentamente a riscaldarsi. Immergo la bustina nell'acqua e poi me la poso sulla faccia per proteggerla.
"Tovarish!" urla un russo in preda al terrore quando andiamo a sbattere l'uno contro l'altro a metà del ruscello.
"Idioti!" urla, indicando con la mano il rombante mare di fiamme. Poi si rimette a correre facendo schizzare l'acqua tutto intorno.
Dopo un po', il resto della sezione comincia a radunarsi intorno a quello che rimane d'una fontana a pezzi. Il cosacco di granito che si trovava al centro della fontana stessa non ha perso solo la testa, ma anche il resto del tronco. Nel bacino della fontana rimangono in piedi solo i pantaloni e gli stivali di pietra.
"Che diavolo è stato?" chiedo, applicando la pomata speciale sulle ustioni che paiono divorarmi la carne.
"E' quel pazzo di Porta che ha tirato, per dirla così, la catena, minacciando di farci annegare tutti nel cesso", ringhia il Vecchio, lanciando un'occhiata rabbiosa a Porta.
"Ma chi, in nome del demonio, poteva immaginarsi che era un fottuto enorme deposito di benzina? " ansima Gregor, rovesciandosi dell'acqua sul faccione rosso, tutto coperto di ustioni.
"Pensavo di girare la manopola della combinazione di una cassaforte", si scusa Porta. "Sembrava proprio una di quella. Sapete, no, come vanno queste cosa? Un giretto a sinistra e poi un giretto a destra e improvvisamente sei ricco. In questo caso, comunque, il risultato è stato leggermente diverso. Mi è venuto proprio un accidente quando mi sono ritrovato in mezzo a quel falò insieme a un paio di Ivan."

Da "Il commissario", di Sven Hassel, Ed. Tascabili Sonzogno - Best seller, 2001, pagg. 87; 92-94.


RAGAZZI DI VITA - Pier Paolo Pasolini

[...]
"Annamo all'ospedale a trovà Marcello." "Chi Marcello?" fece Lupetto che non lo conosceva.
"Marcello, er fijo de 'a pantalonara," spiegò un altro. "Ce lo sai che sta a morì?" disse allora Agnolo.
"Come sarebbe a morì," chiese l'altro incredulo, "ma si è rotto na costola, che, se more pe na costola rotta?" "Ma vaffan...," disse Agnolo, "ma si me l'ha detto 'a sorella che na costola jè entrata dentro ar fegato, boh, ne' a mirza, che ne so..."
"Daje, a Agnolè," fece frettoloso Oberdan, "che restamo indietro." "Se vedemo," salutarono allora Lupetto e gli altri, sciamando giù verso Donna Olimpia. Agnolo e Oberdan con una corsa raggiunsero la famiglia di Marcello, che stava imboccando il sentiero sul prato che portava al piazzale di Monteverde Nuovo, e senza dir niente gli andarono appresso per le strade deserte della domenica pomeriggio, battute dal sole, fino davanti ai cancelli dell'ospedale.

Marcello fu tutto contento di vederli. "Nun ce volevano fà entrà," gli comunicò subito Agnolo, ancora tutto sdegnato contro i custodi. Marcello non si lasciò scappare l'occasione per esprimere il suo parere al riguardo: "Qqua," fece, "so' tutti da naso! E le mòniche peggio dell'artri, che ve credete..."
Lo sforzo che aveva fatto a parlare lo aveva fatto venire più bianco del lenzuolo, ma lui non ci faceva caso.
"Avete visto Zambuia, che?" s'informò subito guardando Agnoletto e Oberdan con gli occhi che gli luccicavano di curiosità.
"E chi 'o vede mai," fece con un certo disprezzo Agnolo, che non sapeva del cagnoletto.
"Si è che 'o vedi," insistette Marcello un pochetto dispiaciuto, "dije che me tratti bbene er cagnoletto mio, che poi je do un'antra piotta. Lui ce lo sa de che se tratta."
"Va bbene," fece Agnolo.
"E azzittete un pochetto, no," disse la madre di Marcello, inquieta, vedendo che il figlio a parlare s'allaccava e impallidiva. [...]

"Ma che c'avete?" disse Marcello con un filo di voce.
La madre continuò a piangere ancora più disperata, senza sapersi trattenere, e cercando di soffocare i singhiozzi contro le lenzuola.
Marcello si guardò intorno meglio, come se stesse pensando intensamente a qualcosa.
"Ah, ma allora," disse dopo un poco, "me ne devo proprio annà!"
Nessuno gli disse niente. "Ma allora," riprese Marcello, guardando fisso quelli che gli stavano intorno, "devo proprio morì..."
Agnolo e l'altro se ne stavano zitti e accigliati. Dopo qualche minuto di silenzio, Agnolo si fece coraggio, s'accostò al letto e toccò Marcello s'una spalla: "Noi te salutamo, a Marcè," disse, "se ne dovemo annà, mo, che c'avemo 'a puntata coll'amici."
"Ve saluto, a Agnolè!" disse con voce debole ma ferma Marcello. Poi dopo aver pensato un momento, aggiunse ancora: "E salutateme tutti giù a Donna Olimpia, si è proprio ch'io non ce ritorno ppiù... E dìteje che nun s'accorassero tanto!"
Agnolo spinse Oberdan per una spalla, e se ne andarono giù per la corsia ormai quasi buia, senza dire una parola.

Da "Ragazzi di vita", di Pier Paolo Pasolini, Ed. Garzanti Elefanti, 2000, pagg. 57-60.


giovedì 20 gennaio 2011

DO ANDROIDS DREAM OF ELECTRIC SHEEP? - Philip K. Dick

[...]
John Isidore said, "I found a spider."
The three androids glanced up, momentarily moving their attention from the TV screen to him.
"Let's see it,", Pris said. She held out her hand.
Roy Baty said, "Don't talk while Buster is on."
"I've never seen a spider," Pris said. She cupped the medicine bottle in her palms, surveying the creature whithin. "All those legs. Why's it need so many legs, J.R.?"
"That's the way spiders are," Isidore said, his hearth pounding; he had difficulty breathing. "Eight legs."
Rising to her feet, Pris said, "You know what I think, J.R.?
I think it doesn't need all those legs."
"Eight?" Irmgard Baty said. "Why couldn't it get by on four? Cut four off and see."
Impulsively opening her purse she producted a pair of clean, sharp cuticle scissors, which she passed to Pris.

A weird terror struck at J.R. Isidore.

Carrying the medicine bottle into the kitchen Pris seated herself at J.R. Isidore's breakfast table. She removed the lid from the bottle and dumped the spider out. "It probably won't be able to run as fast," she said, "but there's nothing for it to catch around anyhow. It'll die anyway."

She reached for the scissors.

"Please," Isidore said.

Pris glanced up inquiringly. "Is it worth something?"
"Don't mutilate it," he said wheezingly. Imploringly.
With the scissors Pris snipped off one of the spider's legs.
[...] Pris clipped off another leg, restraining the spider with the edge of her hand. She was smiling.
[...] Pris had now cut three legs from the spider, which crept about miserably on the kitchen table, seeking a way out, a path to freedom. It found none.
[...] "How's the spider?" she bent over Pris's shoulder.
With the scissors Pris snapped off another of the spider's legs.
"Four now," she said. She nudged the spider. "He won't go. But he can."

Roy Baty appeared at the doorway, inhaling deeply, an expression of accomplishment on his face.
[...] He came over to look curiosly at the spider.
"It won't try to walk," Irmgard said.
"I can make it walk." Roy Baty got out a book of matches, lit a match; he held it near the spider, closer and closer, unti at last it crept feebly away.
"I was right," Irmgard said. "Didn't I say it could walk with only four legs?" She peered up expectantly at Isidore. "What's the matter?" Touching his arm she said, "You didn't lose anything; we'll pay you what that - what's it called? - that Sidney's catalogue says. Don't look so grim. Isn't that something about Mercer, what they discovered? All that research? Hey, answer." She prodded him anxiously.
[...]

Da "Do androids dream of electric sheep?", di Philip. K. Dick, Ed. SF Masterworks, 2009, pagg. 162-166.

domenica 16 gennaio 2011

BASTOGNE - Enrico Brizzi

[...]
Sempre lo stesso gesto d'inforcare gli occhiali scuri pasoliniani nel momento in cui s'affaccia in strada con Raimundo e insieme si dirigono, spappolati, incontro alla gloria del nuovo giorno.

Non ci sono più, in giro, a quest'ora, gli scolari e le pattuglie di studentelli medi, a parte rari spavaldi che per oggi han nascosto, fra le ortiche, tracolle e abbecedari.
Come puoi non ricordare che eri anche tu un rebel kid del genere? Ci andavi o no, a far l'amore mattutino con l'amica in casa da sola, su letti di finta malattia pensati apposta per ingannare i vecchi? Così giudiziosa, lei! Carina! Diligente! Così smorfia e disponibile, nel venirti ad aprire in pigiamino, neanche si credesse malata veramente! Così intrigata e compresa, nel guidarti per l'appartamento vuoto che sapeva solo di cattolicissima solidità famigliare! Così trepida e costretta, quando le prendeva la foja di far cigolare il due piazze coniugale della señora insegnante di tedesco e del señor impiegato statale suoi genitori!

L'inizio della gloria è custodito fra il bancone a elle e gli specchi non proprio scintillanti del bar del Volpe.
Ermanno lascia Raimundo alle prese col giornale sportivo. Accenda la prima meravigliosa della mattinata, chiede al Volpe un baby di heineken. Beve un paio di sorsi, e per attutire l'alcool, succhia forte dalla meravigliosa. Però il fumo gli fa la bocca grifagna, e allora beve un altro mezzo sorso per sciacquarsi. E via così. Guarda dalla sua prospettiva ravvicinata la cimbali degli espressi, antica e argentea e panciuta come un'otaria. Ci ha le viscere, dentro, la vecchia cimbali. Ci vogliono delle gran tecniche per consentire a quest'ordigno di esistere, pensa Ermanno. Spegne la meravigliosa nel posacenere havana club, butta giù quel che resta dell'heineken, con discrezione tossisce, chiede al garzone afasico del Volpe un bicchier d'acqua semplice.

Comunque, non si riprende proprio per niente: i suoi occhi rossi e la pelle rovinata gli vengono incontro dallo specchio con maraglio coraggio, e c'è Raimundo che lo raggiunge al banco con aria improvvisamente professionale. La Dynamo Nizza incontrerà il Fenerbahçe nei trentaduesimi di coppia Uefa, pare, e lui si è finalmente ricordato che sono soci, loro, che Ermanno lo ospita gratis in casa propria, nella sua vecchia stanza, per di più.
"Che c'è in programma, oggi?" chiede Raimundo.
"Personalmente, il clou sarà il mio pranzo con la soave Biancalancia."
Raimundo continua a fissarlo interrogativo. "E per il nostro lavoro?" dice.
"Di che lavoro mi parli, vecchio?"
"Non avevi un biglietto attaccato alla porta? Non dovevi incontrare certe persone alle dodici e mezza, dei minorenni spaventosi che avevano una gran fretta di vederti?"
"Gli sbarbi intrepidi che mi aspettano alle dodici e mezza al parco?"
"Proprio", dice Raimundo, indispettito.

Riepilogano i movimenti della giornata, i nomi dei viziosetti che stamattina si saranno svegliati col sorriso, poiché oggi l'uomo di fiducia consegnerà nelle loro mani veloci quantità e qualità desiderate: si raccomandano la solita prudenza, dovendo traversare la città coi fari delle vespe farciti di libano rosso e altri, più gravi, castighi di dio.

"Bene", dice Raimundo. "Lanciamoci nella giga, allora." Poi - e per questo Ermanno lo odia, a volte - Raimundo lo pianta al banco ed esce via senza nemmeno salutare, strappato al mondo dalla sua nuova fretta di torbido lavoratore.

Da "Bastogne", di Enrico Brizzi, Ed. I nani Baldini & Castoldi, 200 qualcosa, pagg. 61 - 63.

domenica 9 gennaio 2011

SOSTIENE PEREIRA - Antonio Tabucchi

[...]
Pereira finì di mangiare la sua omelette, fece un cenno al cameriere e si fece portare un'altra limonata. Sono stupito della sua impudenza, disse, non so se si rende conto di quello che mi sta chiedendo, e poi cosa potrei trovare? Una stanza d'affitto, disse Monteiro Rossi, una pensione, un luogo dove non stanno troppo a guardare i documenti, lei deve sapere di luoghi del genere, con tutte le sue conoscenze.

Tutte le sue conoscenze, pensò Pereira. Ma se lui, di tutti quelli che conosceva, non conosceva nessuno, conosceva padre Antònio al quale non poteva rifilare un problema del genere, conosceva il suo amico Silva, che stava a Coimbra e sul quale non poteva contare, e poi la portiera di Rua Rodrigo da Fonseca che forse era un'informatrice della polizia. Ma all'improvviso gli venne in mente una pensioncina della Graça, sopra il Castello, dove andavano le coppiette clandestine e dove non chiedevano i documenti a nessuno. Pereira la conosceva perché una volta il suo amico Silva gli aveva chiesto di prenotargli una camera in un luogo discreto dove doveva passare una notte con una signora di Lisbona che non poteva affrontare scandali. E così disse: me ne occuperò domattina, però suo cugino non lo mandi o non lo porti in redazione, per via della portiera, lo porti domattina alle undici a casa mia, ora le do l'indirizzo, ma niente telefonate, per favore, e cerchi di esserci anche lei, forse è meglio.

Perché Pereira disse così? Perché Monteiro Rossi gli faceva pena? Perché era stato alle terme e aveva parlato in maniera così deludente con il suo amico Silva? Perché sul treno aveva trovato la signora Delgado che gli aveva detto che bisognava fare qualcosa comunque? Pereira non lo sa, sostiene. Sa soltanto che capì di essersi messo nei guai e che doveva parlarne con qualcuno. Ma questo qualcuno non c'era in giro e allora pensò che ne avrebbe parlato con il ritratto di sua
moglie quando sarebbe ritornato a casa.
E infatti così fece, sostiene.


da "Sostiene Pereira", di Antonio Tabucchi, Ed. Universale Economica Feltrinelli, 1999, pagg. 81-82.


domenica 2 gennaio 2011

FONTAMARA - Ignazio Silone

[...]
Quando Don Circostanza ebbe finito di parlare in nostro favore, noi lo ringraziammo e alcune di noi gli baciarono le mani per le sue buone parole, ed egli si pavoneggiava per i nostri complimenti. Poi vi furono varie proposte di accomodamento.

Una proposta fece il canonico don Abbacchio, un'altra il notaio, un'altra il collettore delle imposte. Ma erano proposte impossibili perché non tenevano conto della scarsa quantità d'acqua del ruscello e degli usi dell'irrigazione.

L'Impresario non diceva nulla. Lasciava parlare gli altri e sorrideva, col sigaro spento a un angolo della bocca.
La vera soluzione la presentò don Circostanza.

"Queste donne pretendono che la metà del ruscello non basta per irrigare le loro terre. Esse vogliono più della metà, almeno così credo di interpretare i loro desideri.
Esiste perciò un solo accomodamento possibile. Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell'acqua del ruscello e i tre quarti dell'acqua che resta saranno per i Fontamaresi.
Così gli uni e gli altri avranno tre quarti, cioè, un po' più della metà. Capisco" aggiunse don Circostanza "che la mia proposta danneggia enormemente il podestà, ma io faccio appello al suo buon cuore di filantropo e di benefattore."

Gli invitati, riavutisi dalla paura, si misero attorno all'Impresario per supplicarlo di sacrificarsi in nostro favore.
Dopo essersi fatto pregare, l'Impresario finalmente cedette.

Fu in fretta portato un foglio di carta. Io vidi subito il pericolo.
"Se c'è da pagare qualche cosa", mi affrettai a dire "badate che non pago".
"Non c'è nulla da pagare" spiegò ad alta voce l'Impresario.
"Niente?" mi disse sottovoce la moglie di Zompa.
"Se non costa niente, c'è l'imbroglio."
"Se ci tieni tanto a pagare", le feci osservare, "puoi benissimo pagare."
"Neanche se volessero cecarmi" essa mi rispose. "Però se non costa niente, è certamente un imbroglio."
"Allora sarebbe meglio se tu pagassi" dissi io.
"Neanche se mi cecano" essa ripeté.

Il notaio scribacchiò sulla carta le parole dell'accomodamento e lo fece firmare all'Impresario, al segretario comunale e a don Circostanza come rappresentante del popolo fontamarese.
Dopo di che noi ci rimettemmo in cammino per tornare a casa.
(In realtà, nessuna di noi aveva capio in che consistesse quell'accordo.)

"Meno male che è stato gratis", ripetava Marietta come una litania. "Meno male."

Da "Fontamara", di Ignazio Silone, Ed. Mondadori Classici Moderni, 2000, pagg. 61-63.