sabato 29 gennaio 2011

RAGAZZI DI VITA - Pier Paolo Pasolini

[...]
"Annamo all'ospedale a trovà Marcello." "Chi Marcello?" fece Lupetto che non lo conosceva.
"Marcello, er fijo de 'a pantalonara," spiegò un altro. "Ce lo sai che sta a morì?" disse allora Agnolo.
"Come sarebbe a morì," chiese l'altro incredulo, "ma si è rotto na costola, che, se more pe na costola rotta?" "Ma vaffan...," disse Agnolo, "ma si me l'ha detto 'a sorella che na costola jè entrata dentro ar fegato, boh, ne' a mirza, che ne so..."
"Daje, a Agnolè," fece frettoloso Oberdan, "che restamo indietro." "Se vedemo," salutarono allora Lupetto e gli altri, sciamando giù verso Donna Olimpia. Agnolo e Oberdan con una corsa raggiunsero la famiglia di Marcello, che stava imboccando il sentiero sul prato che portava al piazzale di Monteverde Nuovo, e senza dir niente gli andarono appresso per le strade deserte della domenica pomeriggio, battute dal sole, fino davanti ai cancelli dell'ospedale.

Marcello fu tutto contento di vederli. "Nun ce volevano fà entrà," gli comunicò subito Agnolo, ancora tutto sdegnato contro i custodi. Marcello non si lasciò scappare l'occasione per esprimere il suo parere al riguardo: "Qqua," fece, "so' tutti da naso! E le mòniche peggio dell'artri, che ve credete..."
Lo sforzo che aveva fatto a parlare lo aveva fatto venire più bianco del lenzuolo, ma lui non ci faceva caso.
"Avete visto Zambuia, che?" s'informò subito guardando Agnoletto e Oberdan con gli occhi che gli luccicavano di curiosità.
"E chi 'o vede mai," fece con un certo disprezzo Agnolo, che non sapeva del cagnoletto.
"Si è che 'o vedi," insistette Marcello un pochetto dispiaciuto, "dije che me tratti bbene er cagnoletto mio, che poi je do un'antra piotta. Lui ce lo sa de che se tratta."
"Va bbene," fece Agnolo.
"E azzittete un pochetto, no," disse la madre di Marcello, inquieta, vedendo che il figlio a parlare s'allaccava e impallidiva. [...]

"Ma che c'avete?" disse Marcello con un filo di voce.
La madre continuò a piangere ancora più disperata, senza sapersi trattenere, e cercando di soffocare i singhiozzi contro le lenzuola.
Marcello si guardò intorno meglio, come se stesse pensando intensamente a qualcosa.
"Ah, ma allora," disse dopo un poco, "me ne devo proprio annà!"
Nessuno gli disse niente. "Ma allora," riprese Marcello, guardando fisso quelli che gli stavano intorno, "devo proprio morì..."
Agnolo e l'altro se ne stavano zitti e accigliati. Dopo qualche minuto di silenzio, Agnolo si fece coraggio, s'accostò al letto e toccò Marcello s'una spalla: "Noi te salutamo, a Marcè," disse, "se ne dovemo annà, mo, che c'avemo 'a puntata coll'amici."
"Ve saluto, a Agnolè!" disse con voce debole ma ferma Marcello. Poi dopo aver pensato un momento, aggiunse ancora: "E salutateme tutti giù a Donna Olimpia, si è proprio ch'io non ce ritorno ppiù... E dìteje che nun s'accorassero tanto!"
Agnolo spinse Oberdan per una spalla, e se ne andarono giù per la corsia ormai quasi buia, senza dire una parola.

Da "Ragazzi di vita", di Pier Paolo Pasolini, Ed. Garzanti Elefanti, 2000, pagg. 57-60.


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